Lo spettacolo “Food Court” del collettivo australiano Leone d’oro
Venezia, 8 lug. (askanews) – Uno spettacolo duro, con momenti di violenza, ma anche una riflessione sulla società che genera mostri, soprattutto tra le persone più fragili. Con una componente musicale dal vivo importante e la presenza del video a fare da altro personaggio dello spettacolo. “Food Court”, lavoro della compagnia Back To Back Theatre che ha vinto il Leone d’oro alla carriera alla 52esima Biennale Teatro, è un’opera potente, così come potente è il lavoro del collettivo australiano composto da artisti neuroatipici e con disabilità cognitive. Ma il messaggio che arriva dal palco è rivolto a tutti e parla a ciascuno di noi. “Noi esploriamo temi contemporanei che sono importanti per gli attori – ha detto ad askanews Bruce Gladwin, direttore artistico di Back to Back Theatre – ma che sono anche universali e riguardano il pubblico, Cerchiamo di spingere più avanti i confini del teatro, di fare qualcosa che non si è mai visto prima”.
Lo spettacolo, che mette in scena l’umiliazione di una donna in uno spazio minimale, è stato definito “un’esperienza ai confini della morte in una periferie delle meraviglie”. A noi è apparsa anche come una storia nata negli incubi della società ipercapitalista, un orrore che arriva dritto dal nostro mondo falsamente luccicante. E la ferita si rivela ancora più profonda. “Il teatro non accade sul palco – ha aggiunto Gladwin – accade nel cervello e nelle emozioni di ogni singolo spettatore. Lo spettacolo Food Court ha a che fare con il bullismo, certamente, ma anche con la particolare relazione che abbiamo con il super ego e la piccola voce critica che c’è dentro di noi, che ha un vocabolario ridotto e molto ripetitivo. E riguarda anche il tema dell’amore per se stessi”.
L’eccezionalità di Back to Back Theatre sta nella normalità del loro teatro, che vive anche di lentezze, di rispetto dei corpi e delle fragilità, ma senza indulgenze o autocompiacimento. Normalità, per l’appunto, per tutti. E il Leone d’oro è un messaggio che gli attori vogliono raccogliere. “Spero che noi possiamo cambiare le cose – ci ha detto Scott Price, storico membro del collettivo – per quanto mi riguarda io credo di poter cambiare il modo in cui le persone con disabilità vengono percepite. Sono stato etichettato anche io così e non è una cosa piacevole. Spero davvero che le cose possano cambiare profondamente”.
Di certo qualcosa accade dentro gli spettatori in sala. Di certo qualcosa accade nell’idea di teatro contemporaneo, di cui la Biennale continua a provare ad allargare i confini, non solo tecnici o letterari, ma anche psicologici.