GENOVA – “Oggi per me la poltrona di presidente è maggiormente un peso che un onore”. A scriverlo è Giovanni Toti in una lettera inviata al suo avvocato, Stefano Savi, all’indomani dell’ordinanza del Tribunale del Riesame che ne ha confermato gli arresti domiciliari. Poco più di quattro pagine in cui il governatore sospeso si sfoga dopo aver esaminato nel dettaglio le motivazioni con cui l’organo collegiale ha respinto l’appello per la liberazione. Ma da queste parole, Toti non trae la conclusione di dimettersi. Almeno per ora. Scrive che “forse sarebbe stato più facile, fin da subito, sbattere la porta, con indignazione, al solo sospetto mosso sul mio operato”. E aggiunge anche che vede “come una liberazione oggi poter ridare la parola agli elettori”, che secondo lui sapranno giudicare il suo operato e sceglieranno un’amministrazione in continuità con quella attuale. “Non vedo l’ora”, chiosa.
Tuttavia, Toti sottolinea che “la presidenza di una Regione non è un bene personale. È un patrimonio collettivo”. Per questo spera che i magistrati gli diano il via libera a un nuovo giro di incontri politici, tra cui potrebbe esserci anche il vicepremier Matteo Salvini, “per parlare di futuro. E le scelte che faremo saranno prima di tutto per il bene della Liguria, a cui oggi tutta l’Italia dovrebbe guardare con grande attenzione”.
Nella lunga lettera non mancano passaggi di replica a quanto scritto ieri nell’ordinanza. Il più significativo è quello in cui Toti ribatte all’accusa di non aver capito l’illiceità dei suoi comportamenti: “Ho capito benissimo che cosa mi viene addebitato”. E, precisa, “pur non essendo d’accordo con l’accusa, evidentemente eviterei di farmi accusare nuovamente della stessa cosa”. Altrimenti, si lascia andare a una battuta, “caro avvocato, offrirei alla tua difesa un’opportunità in più, quella di chiedere la non punibilità per infermità di mente”.
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