Abigeila Voshtina un violino per Barber
La violinista albanese, sovrintendente dell’opera di Tirana, ha deciso di proporre per la sua tournée italiana il famoso concerto del compositore americano. Melos, modernità assai sofisticata della sua ricerca armonica, ritmica e timbrica, le ragioni della scelta della musicista che è stata diretta da Giovanni Pompeo
Incursione italiana a fine luglio in Italia della violinista Abigeila Voshtina, per l’esecuzione del Concerto per violino e orchestra op.15 di Samuel Osborne Barber, che ha eseguito insieme alla formazione dell’Istituzione Sinfonica Abruzzese, diretta da Giovanni Pompeo.
Una scelta non comune, la sua, meditata, nei confronti di una pagina che ha la capacità di fondere una spiccata attitudine al melos, anche perché il compositore ha coltivato studi da baritono, con la modernità assai sofisticata della sua ricerca armonica, ritmica e timbrica, con cui si allontana da qualsiasi convenzione trita per trovare una voce di assoluta originalità.
Sta bene questo concerto ad Abigeila Voshtina poiché, lungi da ogni sentimentalismo melenso, è legato a una vena elegiaca e autunnale, intensa e nobile al contempo. Nonostante la predilezione complessiva per un clima armonico tonaleggiante, all’interno del quale il compositore si muove, comunque, con libertà e originalità, Barber fa uso di tecniche avanguardistiche e usa in modo personale la dissonanza, nei momenti in cui il tipo di tensione espressiva lo richiede.
Un’ opera, questo concerto datato 1939, ma revisionato nel 1948, di non semplice lettura né esecuzione e, soprattutto, interpretazione visto che si incombono su questa gemma, due massimi interpreti, Isaac Stern, insuperabile nei primi due movimenti e Gil Shaham per l’ultimo, il temutissimo moto perpetuo, Presto.
Alcun timore reverenziale, nei confronti di quanti l’abbiano preceduta, per la Voshitina, la quale ha offerto un’interpretazione molto curata e di ampio respiro, in cui la violinista ha inteso assolutamente non dissipare certo neoromanticismo del tema d’apertura del primo movimento, che pur Allegro, resta complessivamente contemplativo.
Virtuosismo e rigore, nella visione appassionata e lucida del passo di agilità verso l’acuto, che conduce al secondo tema spiccatamente americano, secondo quel gioco di contrasti, col suono del violino, un Dante e Alfredo Guastalla del 1936, pastoso e capace di colori e inflessioni nobilissime.
Nel secondo movimento l’Andante, la Voshtina ha riversato la propria naturale disposizione ad una cantabilità nostalgica e sensibile, in cui è purtroppo facilissimo debordare nel volgarmente accorato. Qui, nel fulcro dell’ ispirazione già espressa da un climax quasi gotico, il violino ha la responsabilità di entrare, e la solista è riuscita nell’orientarsi attraverso la poesia del suono, in un incanto magico della rappresentazione narrativa, dall’essenza soavemente nostalgica, e verso l’anticipazione di quell’universo cristallino, perfettamente trasparente in ogni suo riflesso e gioco di luce, che è l’ultimo breve terzo movimento in moto perpetuo.
Si è sempre discusso su questo terzo movimento del concerto, che è tutt’altro che insipido e incongruente con i precedenti, ed è naturale che viva di fibrillante brillantezza, in una sintesi estrema che mira ad una concisa estrosità.
Ambiguità emozionali e strappate orchestrali alla maniera di Stravinskij, hanno messo in difficoltà non poco orchestra e direttore che hanno portato a conclusione il proprio compito con dignità, senza potersi permettere sottigliezze interpretative ma certo peso e densità, in particolare per la sezione degli archi.
Originalità e intelligenza da parte della solista, nel racchiudere il clima di un’epoca che guarda anche indietro, in cui la ragione estetica ed esecutiva insieme all’orchestra è stata certamente di ricercare una qualità interpretativa cristallina, ma al contempo, straordinariamente ricca e varia, infondendo alla performance un respiro parimenti speculativo, imprimendo al segno che si fa suono, quell’urgenza che incatena all’ascolto.