(Adnkronos) – Anche le email sono fonte di stress sul lavoro. Attraverso una ricerca, Babbel fa luce sull’email anxiety, l’impatto della posta elettronica sul benessere mentale e sul comportamento delle persone. Il 18% dei lavoratori statunitensi ha attualmente più di 1.000 e-mail di lavoro non lette nella propria casella di posta in arrivo (e 1 su 100 ne ha più di 50.000); 6 intervistati su 10 hanno ammesso che il volume di e-mail ricevute è un fattore che contribuisce ad incrementare i propri livelli di stress. Il 28% ritiene, inoltre, che almeno un’e-mail che hanno inviato sul posto di lavoro abbia avuto un impatto negativo sulla propria carriera. Le e-mail rappresentano una componente ormai fondamentale della vita lavorativa: permettono di raggiungere i destinatari in modo rapido e formale e, proprio per questo, costituiscono uno dei principali mezzi di comunicazione professionale.
Alla luce di questa centralità nel mondo del lavoro, Babbel, ecosistema leader nell’apprendimento delle lingue, presenta i risultati di una ricerca commissionata all’istituto OnePoll e condotta negli Stati Uniti sull’impatto della posta elettronica e del suo linguaggio sulla vita lavorativa, sul benessere mentale e sul comportamento delle persone.
Uno dei primi dati che emerge dalla ricerca è che per 6 statunitensi su 10 l’elevato volume di e-mail lavorative ricevute aumenta il proprio livello di stress. Forse proprio per questo il 39% dei rispondenti spera, tra 5 anni, di ricevere meno e-mail; al contrario, il 25% si auspica di riceverne di più, il che potrebbe riflettere una maggiore predilezione verso le e-mail rispetto ad altri mezzi di comunicazione, come ad esempio le telefonate.
A contribuire all’e-mail ‘anxiety’, nota anche come ‘apnea da e-mail’, è poi la tendenza a procrastinare l’apertura delle mail: 1 statunitense su 100 ha attualmente più di 50.000 e-mail non lette nella casella di posta elettronica di lavoro, il 18% dei rispondenti ne ha più di 1.000 ed il 6% oltre 5.000. La Gen Z registra la maggior difficoltà a tenere sotto controllo le e-mail, con oltre un terzo (36%) degli impiegati appartenenti a questa generazione che ha circa 1.000 e-mail non lette.
La natura formale e ‘irrecuperabile’ delle e-mail, se paragonata ad altri strumenti di messaggistica (che beneficiano di una funzione ‘cancella per tutti’ in caso di ripensamenti), spiega poi perché il 28% degli intervistati afferma che le email abbiano avuto un impatto negativo sulla propria carriera, con quasi 9 persone su 10 (88%) che sostengono di essersi pentiti del contenuto di un’e-mail di lavoro subito dopo aver premuto il tasto di invio. Questo sentimento di rimpianto è un’esperienza comune anche presso la Gen Z, vissuta dal 21% degli impiegati tra i 18 e i 24 anni.
Le e-mail vengono considerate ancora una forma di comunicazione formale, in particolare rispetto al linguaggio quotidiano. Il fenomeno del cosiddetto ‘tono da telefono’ (tendenzialmente molto gentile e quasi ossequioso) si è infatti trasferito alle comunicazioni digitali: ne è la prova che l’85% degli intervistati ha ammesso che lo stile e il linguaggio usato per scrivere le e-mail differiscono da quello quotidiano (il 17% lo considera persino ‘molto diverso’ dalla sua normale fraseologia).
Inoltre, quasi la metà (48%) dei rispondenti giudica gli errori di battitura nelle e-mail lavorative più severamente rispetto ad altre piattaforme professionali. Se si considerano poi i messaggi automatici come ‘out of office’ e le firme, un terzo (33%) dei rispondenti ha provato irritazione almeno una volta nella propria vita lavorativa a leggere un messaggio automatico di ferie ‘out of office’ (perché eccessivamente divertente o perché suscitava invidia), percentuale che sale al 48% per la Gen Z e scende al 19% per i Baby Boomer. Infine, quasi 1 persona su 8 (79%) ammette di aver giudicato una persona dalla sua firma via e-mail.
Con l’entrata delle nuove generazioni nel mondo del lavoro, il ‘galateo’ delle e-mail sta tuttavia subendo un significativo cambiamento. A riprova di ciò, più di 1 rispondente su 2 ritiene appropriato l’uso di emoji nelle e-mail aziendali, contro un 29% che lo ritiene invece inopportuno.
Esteban Touma, esperto culturale e linguistico di Babbel, commenta: “Si parla spesso del ruolo dei social media e di altri strumenti digitali nel plasmare il nostro comportamento e nell’ influire sul nostro benessere mentale, ma si trascura l’impatto delle e-mail, un mezzo di comunicazione più consolidato. La nostra ricerca ha evidenziato che le e-mail sono una delle principali fonti di stress sul posto di lavoro e che la loro natura formale e permanente è in contrasto con quasi tutti gli altri mezzi di comunicazione professionale attualmente in uso, con conseguenze potenzialmente determinanti per la carriera. Nel corso degli ultimi 20 anni, gli atteggiamenti nei confronti delle e-mail sul posto di lavoro – e le regole per la loro composizione ed interpretazione – si sono progressivamente radicati. Tuttavia, man mano che le nuove generazioni, cresciute con i social media, diventano professionisti, i confini tra la comunicazione online più informale, come l’invio di messaggi scherzosi e pieni di emoji tra amici, e le e-mail sul posto di lavoro si fanno sempre più labili. Questo è naturale, perché il linguaggio e la comunicazione sono in continua evoluzione, plasmati dai progressi tecnologici e sociali”.
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