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Lavoro, Meloni: “L’Italia è sulla strada giusta, ma non ci fermiamo”

PoliticaLavoro, Meloni: “L’Italia è sulla strada giusta, ma non ci fermiamo”

ROMA – Nei primi due anni di governo Meloni1, segnala l’Ufficio studi della CGIA, l’occupazione in Italia è cresciuta complessivamente di 847mila unità (+3,6 per cento). Di questi nuovi posti di lavoro, 672mila sono lavoratori dipendenti e 175mila autonomi.

MELONI: L’ITALIA È SULLA STRADA GIUSTA, MA NON CI FERMIAMO

“I dati diffusi oggi dalla Cgia confermano un importante trend positivo per il mercato del lavoro in Italia: 847mila posti creati nei due anni del nostro Governo. Numeri che ci spingono a continuare a lavorare con determinazione per creare ulteriori opportunità e garantire stabilità e crescita economica a tutta la nostra Nazione. L’Italia è sulla strada giusta, ma non ci fermiamo: c’è ancora molto da fare. Avanti!”. Questo il commento sui social della premier Giorgia Meloni.

IN AUMENTO I POSTI FISSI, IN CALO I “PRECARI”: I DATI CGIA

Focalizzando l’attenzione sui lavoratori dipendenti, lo stock di coloro che in quest’ultimo biennio dispone di un contratto a tempo indeterminato è aumentato di 937mila unità, mentre i lavoratori con un contratto a termine sono diminuiti di 266mila (vedi Tab. 2). Pertanto, l’incidenza percentuale di lavoratori subordinati che attualmente possiede un contratto di lavoro precario è scesa al 14,4 per cento (-2 punti rispetto a ottobre 2022). Sempre nello stesso periodo, i disoccupati sono diminuiti a 1.473.000 (-496mila) e gli inattivi a 12.538.000 (-198mila).

DEI NUOVI OCCUPATI METÀ SONO DONNE

Di questi 847mila nuovi posti di lavoro creati in questi ultimi due anni, quasi la metà, 420mila sono donne (pari al 49,6 per cento) e gli altri 427mila sono maschi (50,4 per cento). Dei 496mila disoccupati in meno registrati sempre in questo periodo, invece, 274mila sono donne (pari al 55,1 per cento del totale) e 223mila sono uomini (44,9 per cento). In termini assoluti, a ottobre 2024 le donne occupate hanno raggiunto la soglia dei 10.253.000 unità, mentre le disoccupate sono diminuite a 693mila.

BENE ANCHE I TASSI DI OCCUPAZIONE E DISOCCUPAZIONE

Oltre alle variazioni assolute, anche l’andamento dei tassi, ovviamente, è stato positivo. Nella fascia di età 15-64 anni, quello di occupazione2 è salito al 62,5 per cento (+1,9), mentre il tasso di disoccupazione3 è diminuito al 5,8 per cento (-2 punti). In forte contrazione anche il tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni) che si è attestato al 17,7 per cento (-5 punti). Ancorché l’Italia denoti il tasso di occupazione femminile più basso d’Europa, in questi ultimi due anni lo stesso si è attestato al 53,6 per cento (+2) e il tasso di disoccupazione è sceso al 6,3 per cento (-2,7).

IL CONTRIBUTO ALLA CRESCITA È VENUTO DAGLI OVER 50

Analizzando l’andamento occupazionale degli italiani per fasce di età, scorgiamo che la coorte che in termini assoluti ha dato in questi ultimi due anni il contributo maggiormente positivo è stata quella degli over 50. Degli 847mila nuovi occupati registrati nel Paese, ben 710mila (pari all’83,8 per cento del totale) appartengono alla fascia più anziana della popolazione lavorativa. Seguono quella tra i 25 e i 34 anni di età che sono cresciuti di 184mila unità e quella dei giovani tra i 15-24 anni che sono aumentati di 18mila unità. Solo la coorte anagrafica tra i 35-49 anni ha subito una contrazione negativa pari a 66mila lavoratori. Secondo l’Ufficio studi della CGIA, le ragioni di questo risultato vanno ricercate nell’invecchiamento progressivo anche della popolazione lavorativa che sta ingrossando la fascia di età più elevata e nell’allungamento dell’età lavorativa che negli ultimi anni ha frenato il pensionamento di tantissimi operai e impiegati. Ma l’aspetto più determinante è riconducibile al fatto che le imprese sono sempre più orientate ad assumere persone con esperienza che, in linea di massima, offrono maggiori garanzie di affidabilità e di sicurezza. Questa tendenza è avvalorata anche dalla riduzione del numero dei disoccupati e degli inattivi presenti tra gli over 50. In questi ultimi 24 mesi, infatti, la contrazione in questa fascia di età è stata la più elevata di tutte in termini percentuali (-28,6 per cento) per 136mila disoccupati in meno.

LA CIG, PERÒ, DA QUEST’ANNO È IN DECISO AUMENTO, SOPRATTUTTO AL NORD

Dall’analisi della CIG autorizzata negli ultimi due anni scorgiamo un andamento altalenante che da sempre è legato alla stagionalità. Tuttavia, dall’inizio del 2024 il monte ore mensile risulta essere mediamente più elevato di quello registrato nell’anno precedente. Dall’ottobre del 2022, comunque, la punta massima è stata toccata nel gennaio di quest’anno (quasi 48 milioni di ore autorizzate), successivamente c’è stata una costante discesa fino ad aprile, a maggio è tornata a salire fino a 46,3 milioni per poi crollare ad agosto, attestandosi a 23,8 milioni di ore. A settembre (ultimo dato Inps disponibile) c’è stata una forte impennata fino a raggiungere i 43,6 milioni di ore autorizzate. Un dato, stando alle crisi occupazionali scoppiate in queste ultime settimane, che dovrebbe essere destinato a salire stabilmente negli ultimi mesi di quest’anno. A livello di ripartizione geografica, durante l’estate 2023 e a partire da febbraio di quest’anno sia il Nordovest che il Nordest presentano un monte ore autorizzato superiore alle altre due circoscrizioni. Un dato che rimane in linea anche a settembre dove a Nordest il picco sfiora i 17 milioni di ore, mentre nel Mezzogiorno è a poco sopra i 7 milioni.

I NUOVI OCCUPATI SOPRATTUTTO AL SUD

Rispetto alla rilevazione eseguita precedentemente che era di fonte Istat e misurata con una cadenza mensile, per analizzare l’andamento occupazionale avvenuto a livello regionale abbiamo preso i dati medi annuali forniti da Prometeia. Per l’anno 2022 e 2023, anche l’istituto di ricerca bolognese ha preso come riferimento le statistiche dell’Istat, per l’anno 2024, invece, ha realizzato una stima previsionale. Pertanto, i dati regionali di fonte Prometeia – sia sull’aumento dell’occupazione sia sulla diminuzione della disoccupazione – non corrispondono con quelli nazionali dell’Istat, sebbene confermino il trend registrato nella nostra elaborazione su dati Istat. Premesso ciò, tra il 2022 e il 2024 è la Sicilia che dovrebbe registrare il numero più elevato di nuovi posti di lavoro pari a 133.600 (+10 per cento). Seguono la Lombardia con +125.700 (+2,8 per cento), la Campania con +89.900 (+5,5 per cento), il Lazio con +76.500 (+3,3 per cento) e il Piemonte con 71.600 (+4 per cento). Tra le quattro ripartizioni geografiche presenti in Italia, il Mezzogiorno – grazie al buon andamento delle esportazioni, delle costruzioni e degli investimenti pubblici correlati al Pnrr – parerebbe registrare l’incremento occupazionale più importante d’Italia, con quasi 350mila addetti in più negli ultimi due anni. Anche per quanto concerne la contrazione dei disoccupati, sarebbe sempre il Sud la macro area più dinamica del Paese, con una riduzione delle persone che cercano una occupazione pari a 113mila unità. In valore assoluto a guidare la graduatoria regionale dovrebbe essere la Sicilia con -36.800 disoccupati. Seguono la Puglia con -35.600 e la Lombardia con -34.600. Questi ultimi dati, infine, trovano una ulteriore conferma dall’analisi del tasso di disoccupazione che dovrebbe subire le riduzioni più importanti in Sicilia (-3,1 per cento), in Sardegna (-3 per cento) e in Puglia (-2,6 per cento).

ALCUNE RIFLESSIONI CONCLUSIVE

In questi primi due anni di governo, i risultati ottenuti in materia di lavoro sono stati certamente positivi, anche se il merito è riconducibile più agli imprenditori che alla politica. Tuttavia, non dobbiamo dimenticare che con una crescita che in questi ultimi due anni è stata molto contenuta, all’aumento dell’occupazione non è corrisposto un incremento altrettanto importante della produttività, almeno nel settore dei servizi e del terziario. Pertanto, gli stipendi degli italiani, che mediamente sono al di sotto della media europea, non crescono adeguatamente e questo rimane un problema che va “aggredito” rinnovando i contratti nazionali alla scadenza e continuando a tagliare strutturalmente il carico fiscale che grava sugli stessi. Ora, la forte caduta della produzione industriale e il deciso aumento del ricorso alla cassa integrazione non fanno presagire nulla di buono. Se non vogliamo scivolare verso una crisi strisciante che – a seguito delle tensioni geopolitiche, del calo demografico e della transizione digitale e climatica – avvolge la Germania e in parte anche la Francia, dobbiamo spendere bene e presto i soldi del Pnrr. Con la messa a terra entro il 2026 dei 130 miliardi di euro che abbiamo ancora a disposizione, possiamo dare un contributo importante all’ammodernamento del Paese ed evitare una nuova crisi che, ai più, sembra essere alle porte.
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