Sarà il mezzosoprano, pupilla dell’immenso Franco Corelli a dar voce alla cameriera di Butterfly, in scena il 31 agosto e il 7 settembre al gran teatro Puccini di Torre del Lago per il LXX cartellone del Festival, diretta dal Maestro Jacopo Sipari di Pescasseroli. L’abbiamo raggiunta nel bel mezzo delle prove per qualche riflessione sul personaggio
La seconda figura femminile dell’opera Madama Butterfly, che chiuderà il LXX cartellone del Festival Puccini, con la celebrazione dei 120 anni dalla “prima”, la cameriera Suzuki, avrà la voce del mezzosoprano Anna Maria Chiuri. Durante le prove che si susseguono, senza soluzione di continuità, che nelle due repliche il 31 agosto e il 7 agosto, il direttore artistico ha voluto due protagoniste diverse, Valeria Sepe e Marina Medici, con Vincenzo Costanzo nel ruolo di Pinkerton e Sergio Bologna in quello di Sharpless, le scene dello scultore giapponese Kan Yasuda, per la regia di Vivien Hewitt e sul podio una bacchetta nata proprio nei luoghi pucciniani, quella di Jacopo Sipari di Pescasseroli, abbiamo raggiunto il mezzosoprano per una riflessione sul suo importante ruolo.
Come risolve psicologicamente il personaggio di Suzuki Annamaria Chiuri? Suzuki aggancio alla realtà, coscienza e sapienza popolare e dall’altra parte, attenta a non ferire Cio-Cio-San, nella sua cecità d’amore?
“Suzuki è la vera reale madre giapponese, molto religiosa e aperta al sorriso nei confronti di Pinkerton, poiché lo vede disponibile, infatti dice “Ah sorride vostro onore” poi, invece, subito fa riferimento al saggio Ocunama con “Dei crucci la trama smaglia un sorriso”. Non si preoccupa nemmeno di sondare come Cio-Cio-San l’animo dell’americano, sa che è straniero, sa che ci sta una trattativa in danaro, per la prima notte, alla quale è abituata e non crede a quella persona sin dall’inizio. Nasce, così, tra le due donne, nonostante l’evidente divario sociale, una amicizia. Suzuki sostiene Butterfly, nonostante la sua cocciutaggine che la fa reagire al suo pessimismo sul ritorno di Pinkerton, traendo speranza finanche dalle serrature che proteggono la casa, dove sta “dentro con gelosa custodia, la sua sposa che son io, Butterfly”, seguito dallo scoppio di pianto di Suzuki (“Piangi, perché?”) che introduce la visione di “Un bel dì vedremo”, dopo cui la distanza fra la realtà e l’autoconvincimento di Cio-Cio-San non potrebbero essere maggiori”.
Suzuki è il personaggio più positivo dell’opera ed è affidato al registro di mezzosoprano, come può descrivere la vocalità della domestica? Possiamo veramente definire il suo personaggio pienamente “antagonista” del soprano?
Suzuki non è antagonista del soprano, poiché le due donne avrebbero dovuto concorrere per uno stesso fine. E’ solo l’altra faccia della donna giapponese, legata alle tradizioni, della quale non conosciamo l’età. Sappiamo che Butterfly ha solo 15 anni, ma non è esplicata l’età della cameriera, potrebbe essere anche una giovinetta come Cio-Cio-San, ma certamente dai principi più saldi, per di più ai piedi della gerarchia, la più povera di tutti, quindi la più positiva. Un personaggio che rispecchia anche l’ attenzione e l’affetto di Giacomo Puccini per le sue domestiche, delle quali si informava sempre, ed Suzuki è trattata in modo rispettoso e affettuoso, mentre, ad esempio nella Fanciulla del West Wowkle l’indiana non è schizzata allo stesso modo. Riguardo la vocalità è un ruolo puro per mezzosoprano, senza strambate verso la corda di contralto, le dà delle note gravi, ma in registro, quando ci sta da contrastare Butterfly, vocalmente non è una parte difficile, bisogna stare attenti a non strafare negli slanci, che Suzuki ha da trattenere, poiché vorrebbe sensibilizzare Butterfly su di una situazione che va precipitando.
Madama Butterfly è un’opera che rispecchia anche l’amore di sua madre che ha atteso di sposare suo padre per un decennio?
“Si l’attesa, certamente, l’amore e anche la promessa, ma dall’altra parte non c’era certo Pinkerton. Sono figlia di genitori salentini e sono nata a San Candido di Cadore. Se mio padre non fosse tornato giù, per mia madre non ci sarebbe stato nulla da fare, sarebbe stata disonorata, come Santuzza. Una fermezza di altri tempi quella di mia madre che oggi non esiste più”
Lei allieva dei uno dei massimi tenori della storia, Franco Corelli, di quale eredità è latrice anche nei confronti dei suoi allievi, tra cui ha, forse, già individuato una futura Chiuri?
“Viviamo in un mondo musicale che non sfiora nemmeno lontanamente quello in cui cantavano i grandissimi, come il mio maestro. I cantanti erano prima persone, poi musicisti, e sapevano anche cosa volesse dire il sacrificio e l’angustia economica. Prima lo studio non era per tutti, si sceglieva, chi veramente aveva i mezzi per salire su di un palcoscenico. Studi durissimi e andavano avanti i migliori. Oggi lo studio è aperto a tutti, non sempre vanno avanti i più bravi, gli italiani li perdiamo un po’ per strada poiché non vedono sbocco e tutti gli studenti dell’Est e dell’Oriente che affollano i nostri conservatori, raggiunta la laurea, vanno poi ad insegnare nelle loro università. Le voci ci sono sempre state e ci saranno anche in futuro, il mondo musicale non è pronto ad accogliere attraverso selezioni “vere” e tante volte ottengono ruoli e leggii orchestrali anche quanti non sono dotati. Tra l’altro manca anche il background della cultura di questo paese, della sua musica. Ad esempio si va a sentire una Elina Garancia, ma si ignora una Scotto, o una Cossotto, o una Berganza, ecco queste son cose difficili da inculcare nei miei allievi (la Chiuri è docente del Conservatorio di Piacenza, ndr.) La lezione che ha trasmesso il mio maestro è racchiusa in una parola sola: “Rispetto”. Quindi, rispetto della partitura, rispetto del lavoro, rispetto profondo di ciò che è la tradizione, e soprattutto consapevolezza dei propri limiti. Devo dire che oggi il repertorio è ridotto, poichè producono soltanto i grandi titoli, proprio perchè il pubblico non è aperto a ciò che disconosce. Questo tipo di scelta nazional-popolare prima non esisteva e tutti i cantanti venivano rispettati, da quelli che eseguivano il grande repertorio a quelli che eseguivano partiture di nicchia o di genere e gli artisti si rispettavano tra loro. Oggi chi primo arriva prende tutto, i giovani sono costretti ad accettare un qualsivoglia ruolo, per far carriera, senza pensare al “proprio strumento”. Critica musicale, ormai inesistente o assoldata, con battitori liberi che si contano sulle dita di una mano e delle letture non ci si può più fidare, bisogna andare ad ascoltare con le proprie orecchie e fidarsi di esse.
Ha pronunciato qualche “no” di cui ha oggi a pentirsene? Ha in animo qualche ruolo che intende debuttare in futuro?
No quelli che ho pronunciato non erano necessari e ho seguito un percorso studiato per la mia voce che ripercorrerei tranquillamente. Si, un pensiero lo ho ed è il Samson et Dalila di Camille Saint-Saens, che ho cantato in forma di concerto ma mai in versione scenica. Bisogna trovare, però, il Sansone! A me piace poi, affrontare l’intero repertorio italiano, tra l’altro i ruoli per la mia corda non sono molti e frequento anche l’opera tedesca, francese e, naturalmente, la cameristica e la sinfonica. Amo anche i ruoli di carattere quali Clitennestra o la BabaYaga. Desidero continuare a fare ciò che sto facendo, anche Butterfly, che confesso non ho mai amato, e la prima volta l’ho eseguita a Roma, lo scorso anno. Ha un senso, poiché Suzuki deve recitare ha il suo peso in scena, ciò mi incuriosisce e mi fa accettare la sfida di questa opera. La regia qui a Torre del lago, tra l’altro, è molto particolare, pulita, tra sculture e tanta filosofia e gestualità giapponese.
Come vede il futuro dell’opera lirica? Dobbiamo guardare sempre al passato o possiamo sperare in una produzione contemporanea?
“Dobbiamo pregare tutti, che arrivi la grazia. Non saprei dire. Il passato è bello ma per il futuro sono abbastanza dubbiosa. Tutto ha un tempo oramai nella scuola si va ad ore e minuti e non c’è più quella concezione di dedicare la vita completamente, h/24, all’arte, un pensiero continuo, d’amore che sarà un ininterrotto aspirare a qualcosa che mai si otterrà”.