ROMA – Nelle ultime ore il ‘Manifesto di Ventotene’ è tornato sotto i riflettori della politica italiana e del dibattito pubblico, complice una dichiarazione della Presidente del Consiglio Giorgia Meloni.
La premier ha infatti affermato che “l’Europa delineata dal Manifesto non è la sua Europa”, scatenando reazioni e discussioni sull’eredità di questo documento e sulla sua attualità nel contesto politico odierno.
IL MANIFESTO DI VENTOTENE
Scritto nel 1941 da Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni, il ‘Manifesto di Ventotene’ è considerato il testo fondativo dell’idea di un’Europa unita e federale.
Il documento proponeva una federazione europea come antidoto ai nazionalismi e ai conflitti che avevano devastato il continente con la Seconda guerra mondiale.
Il manifesto delineava un’Europa basata sulla cooperazione tra gli Stati, su istituzioni comuni e su un superamento delle divisioni nazionali, con l’obiettivo di garantire pace, democrazia e progresso sociale. Questa visione fu determinante nella costruzione del progetto europeo che, attraverso la CECA e poi la CEE, condusse infine alla nascita dell’Unione Europea.
E’ DAVVERO UN TESTO ANTI-DEMOCRATICO?
Il Manifesto è stato scritto in piena Seconda guerra mondiale, in un’epoca in cui le democrazie europee erano crollate sotto il peso di regimi autoritari e totalitari. Spinelli, Rossi e Colorni, nel loro scritto, sostenevano che la rinascita dell’Europa dovesse passare attraverso una rivoluzione politica e sociale che superasse gli stati nazionali e instaurasse una federazione europea. In questo senso, la loro visione non si fondava esclusivamente sulla democrazia rappresentativa tradizionale, ma prevedeva una fase rivoluzionaria necessaria per abbattere le strutture del passato.
Non si può dire quindi che il Manifesto di Ventotene sia apertamente contrario ai principi democratici nel suo scopo finale, che era quello di creare un’Europa libera e federale. Tuttavia, si può riconoscere che la sua visione della transizione verso questa nuova Europa fosse radicale e, in alcuni passaggi, potenzialmente problematica per una concezione democratica liberale. La democrazia, per Spinelli e gli altri autori, non era vista come un processo lineare, ma come un obiettivo da raggiungere anche attraverso una fase rivoluzionaria.
L’esperienza partigiana e della Resistenza italiana stessa, in molte delle sue componenti, adottava una visione rivoluzionaria del cambiamento, considerando che la semplice restaurazione del passato non fosse sufficiente a garantire un futuro democratico. Alcuni movimenti partigiani, in particolare quelli di matrice socialista e comunista, credevano che una fase di transizione guidata da un’avanguardia politica fosse necessaria per riformare profondamente lo Stato e la società.
Questa interpretazione rientra nella critica più ampia della destra italiana all’UE, vista come un’entità burocratica che impone direttive ai governi nazionali.
Meloni sostiene una visione più orientata alla difesa delle sovranità nazionali e al rispetto della volontà popolare, in contrasto con l’idea di una governance europea centralizzata.
L’Unione Europea si trova oggi a un bivio: da un lato, c’è chi sostiene un rafforzamento dell’integrazione, con maggiore coesione politica ed economica tra gli Stati membri; dall’altro, esiste una crescente spinta per un’Europa intergovernativa, in cui le decisioni siano prese in maniera maggiormente autonoma dai singoli Paesi.
Le dichiarazioni di Meloni si inseriscono in questa tensione politica, evidenziando la frattura tra chi vede l’UE come un’unione sempre più stretta e chi, invece, la considera un’alleanza tra Stati sovrani con confini ben definiti.
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