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Il governo deve risarcire i migranti della nave Diciotti. Meloni contro la Cassazione: “Frustrante”

PoliticaIl governo deve risarcire i migranti della nave Diciotti. Meloni contro la Cassazione: “Frustrante”

ROMA – “Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno condannato il governo a risarcire un gruppo di immigrati illegali trasportati dalla nave Diciotti perché il governo di allora, con ministro dell’Interno Matteo Salvini, non li fece sbarcare immediatamente in Italia. Lo fanno affermando un principio risarcitorio assai opinabile, quello della presunzione del danno, in contrasto con la giurisprudenza consolidata e con le conclusioni del Procuratore generale”. Lo scrive su X la premier Giorgia Meloni, che aggiunge: “In sostanza, per effetto di questa decisione, il Governo dovrà risarcire – con i soldi dei cittadini italiani onesti che pagano le tasse – persone che hanno tentato di entrare in Italia illegalmente, ovvero violando la legge dello Stato italiano”.

“Non credo siano queste le decisioni che avvicinano i cittadini alle istituzioni, e confesso che dover spendere soldi per questo, quando non abbiamo abbastanza risorse per fare tutto quello che sarebbe giusto fare, è molto frustrante”, conclude Meloni.

LA SENTENZA

“Va certamente escluso che il rifiuto dell’autorizzazione allo sbarco dei migranti soccorsi in mare protratto per dieci giorni possa considerarsi quale atto politico sottratto al controllo giurisdizionale. Non lo è perché non rappresenta un atto libero nel fine, come tale riconducibile a scelte supreme dettate da criteri politici concernenti la costituzione, la salvaguardia o il funzionamento dei pubblici poteri nella loro organica struttura e nella loro coordinata applicazione”. È quanto si legge nel testo dell’ordinanza delle Sezioni unite civili della Cassazione sul ricorso presentato da un gruppo di migranti a cui fu impedito di sbarcare dalla nave Diciotti, dal 16 al 25 agosto del 2018, dall’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini e per i quali è stato disposto un risarcimento da parte del governo.

“Si è in presenza, piuttosto, di un atto che esprime una funzione amministrativa da svolgere, sia pure in attuazione di un indirizzo politico, al fine di contemperare gli interessi in gioco e che proprio per questo si innesta su una regolamentazione che a vari livelli, internazionale e nazionale, ne segna i confini. Le motivazioni politiche alla base della condotta non ne snaturano la qualificazione, non rendono, cioè, politico un atto che è, e resta, ontologicamente amministrativo”, scrivono ancora i giudici, che di nuovo precisano come “l’azione del Governo, ancorché motivata da ragioni politiche, non può mai ritenersi sottratta al sindacato giurisdizionale quando si ponga al di fuori dei limiti che la Costituzione e la legge gli impongono, soprattutto quando siano in gioco i diritti fondamentali dei cittadini (o stranieri), costituzionalmente tutelati”.

“L’obbligo del soccorso in mare corrisponde ad una antica regola di carattere consuetudinario, rappresenta il fondamento delle principali convenzioni internazionali, oltre che del diritto marittimo italiano e costituisce un preciso dovere tutti i soggetti, pubblici o privati, che abbiano notizia di una nave o persona in pericolo esistente in qualsiasi zona di mare in cui si verifichi tale necessità”.

“Lo Stato responsabile del soccorso deve organizzare lo sbarco ‘nel più breve tempo ragionevolmente possibile’ (Convenzione internazionale sulla ricerca ed il salvataggio marittimo, capitolo 3.1.9), fornendo un luogo sicuro in cui terminare le operazioni di soccorso; è solo con la concreta indicazione del POS (place of safety, ndr), e con il successivo arrivo dei naufraghi nel luogo sicuro designato, che, infatti, l’attività di Search and Rescue può considerarsi conclusa”.

“Per ‘luogo sicuro’ si intende un ‘luogo’ in cui sia garantita non solo la ‘sicurezza’ – intesa come protezione fisica – delle persone soccorse in mare, ma anche il pieno esercizio dei loro diritti fondamentali, tra i quali, ad esempio, il diritto dei rifugiati di chiedere asilo”, aggiungono i giudici.Agli Stati resta, si legge ancora nell’ordinanza della Cassazione, “un margine di ‘discrezionalità tecnica’ solo ai fini dell’individuazione del punto di sbarco più opportuno, tenuto conto del numero dei migranti da assistere, del sesso, delle loro condizioni psicofisiche nonché in considerazione della necessità di garantire una struttura di accoglienza e cure mediche adeguate; ferma restando la doverosità dell’indicazione del luogo sicuro in cui concludere l’evento SAR dichiarato, ritardi nella designazione dello stesso potrebbero pertanto essere giustificati (solo) alla luce della necessità di individuarne uno adeguato alle esigenze che, caso per caso, si presentano”.
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