Il grande artista caraibico-newyorchese e la mostra Ground Break
Milano, 27 mar. (askanews) – Nari Ward è un grande artista e la mostra che porta in Pirelli HangarBicocca a Milano, intitolata “Ground Break” ha l’intensità e la forza per far risuonare al meglio l’enorme spazio delle Navate, nel solco di un’arte che è anche trasformazione, riuso, ragionamento concettuale su questioni come l’identità o la giustizia sociale, testimonianza politica e condivisione. E spesso le sue opere fanno pensare a parole come legami, tra materiali, ma anche di forma, oppure limiti, che devono essere superati verso un obiettivo superiore, verso una possibile idea di cambiamento e speranza.
“Per me – ha detto l’artista caraibico-newyorchese ad askanews – conta l’elemento di speranza insito nel fatto che le cose possono unirsi e diventare un unico e dentro la complessità di questo solo oggetto si trova del mistero. Io voglio che il mio lavoro celebri questa idea di mistero attraverso la combinazione tra oggetti che a volte sembra non avere senso”.
Le opere in mostra sono entità a sé stanti, ma l’allestimento crea una situazione di continuo dialogo tra esse, un legame appunto, che alimenta la narrazione della stessa esposizione, che diventa dialettica e polifonica, con grande attenzione anche alla produzione video di Ward. Lucia Aspesi, co curatrice della mostra con Roberta Tenconi: “C’è un senso di performatività in tutto l’allestimento – ci ha detto -. Abbiamo deciso di esporre i video su dei Led che sono quasi più grandi della scala umana e allo stesso tempo chiediamo al visitatore di entrare nell’ingresso attraverso una sorta di bozzolo di passaggio per poi uscire e arrivare al percorso espositivo. C’è anche una stanza di odori, che guarda però alla storia dell’arte. Questo è il racconto sensoriale di Nari Ward, che finisce con l’opera nel Cubo, ‘Happy Smilers’, dove troviamo il suono della pioggia che cade e in qualche modo riporta il visitatore a una dimensione più spirituale”.
La vocazione a fare arte con tutto sembra rimandare alle origini giamaicane di Ward, la sua cultura del recupero dei materiali già usati è invece qualcosa che si colloca tra l’antica necessità di fare molto con meno e la moderna idea di sostenibilità. E poi c’è un altro filo rosso di tutto il progetto: la collaborazione con diversi artisti e performer, che già hanno cominciato ad allargare ulteriormente i confini dell’esposizione. “Incontri qualcuno di cui ti piace il lavoro – ha aggiunto Nari Ward a proposito delle collaborazioni – e vuoi crescere rispetto a dove sei in quel momento e pensi di prendere qualcosa da persone in cui hai fiducia e permettere loro di sfidare le tue idee per crescere insieme attraverso il progetto”.
“Ground Break” è anche una mostra dura, che tocca temi brucianti come l’emarginazione e le migrazioni, ma che, grazie alla leggerezza con cui Ward struttura il suo lavoro, ha pure la forza di diventare un agente del possibile cambiamento, un dispositivo artistico-sociale che va oltre i tradizionali confini dello spazio museale. Che si alimenta della forza che prorompe dalle opere, come già accaduto con mostre memorabili di artisti come Cildo Meireles o Dieter Roth che hanno segnato la storia di Pirelli HangarBicocca.
(Leonardo Merlini)