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mercoledì, Dicembre 18, 2024

“Istituire il reato di violenza domestica”: la proposta del procuratore di Tivoli

Politica“Istituire il reato di violenza domestica”: la proposta del procuratore di Tivoli

ROMA – In Italia va creato il reato di violenza domestica, come previsto dalla Convenzione di Istanbul. A chiederlo a gran voce, in difesa delle donne vittime di violenza economica, è il Procuratore della Repubblica di Tivoli, Francesco Menditto, audito oggi in Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio.
“I processi per esclusiva violenza economica non esistono in Italia, di per sé non è perseguita- spiega il Procuratore- Viene ricondotta nel reato di maltrattamenti, il quale è stato concepito quando c’era una struttura familiare tradizionale, mentre oggi ci sono situazioni molto più complesse. E’ un reato che prevede pene alte, che i giudici hanno paura di dare. Soprattutto, è costruito come un reato abituale, cioè con più condotte nel tempo. Questo comporta che se c’è un solo episodio, o lo inquadriamo in altri reati oppure non lo possiamo perseguire”.

“FARE COME PER LA MAFIA, SEQUESTRO E CONFISCA”
La strutturazione del reato “è molto semplice- spiega Menditto-, basta prendere la Convenzione di Istanbul, che parla di violenza psicologica, fisica, economica. Nominando, definendo, questo trittico di violenze sarebbe semplice l’applicazione con una pena anche non elevata. Anche il Grevio, l’organismo che controlla l’attuazione della Convenzione di Istanbul, ci ha detto che sarebbe opportuno avere un reato autonomo di violenza domestica”, ribadisce Menditto. Non c’è solo questo. Per difendere le donne vittime di violenza sarebbe opportuno “rivedere la materia dei reati 570 e 570 bis, cioè quelli relativi all’omesso pagamento dei mezzi di sussistenza in caso di divorzio. Sono reati molto confusi- spiega il procuratore della Repubblica- Rimettendoli a regime ne sarebbe più facile l’applicazione. Andrebbe fatto come si fa per la mafia: prevedere il sequestro e la confisca obbligatoria del profitto del reato. Noi oggi non possiamo intervenire sul patrimonio di chi non paga gli alimenti, anche se scopriamo che ne ha uno nascosto. Ne possiamo solo chiedere il rinvio a giudizio. Ma non possiamo sequestrare e togliere ciò che si è sottratto”.
CHI È VITTIMA DI VIOLENZA ECONOMICA?
Come individuare la violenza economica? Il Procuratore della Repubblica di Tivoli, audito oggi dalla Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, fornisce indicazioni in merito nate dall’esperienza sul campo e dalla collaborazione con la professoressa Elvira Reale, Responsabile Centro di prima assistenza psicologica per le vittime di violenza presso l’Azienda Ospedaliera Cardarelli di Napoli, e altre esperte. “Noi la definiamo in tutti i comportamenti che mettono in subordinazione la donna, in soggezione e comunque in mancanza di autonomia. Le condotte possono essere le più varie- sottolinea Menditto- Per noi con ‘la violenza economica’ si intende l’insieme di tutte quelle condotte di controllo che limitano la possibilità di una persona di rendersi autonoma e indipendente. Per esempio: impedire di lavorare autonomamente, impedire di disporre autonomamente di denaro, obbligare a dimostrare ogni minima spesa, o fornire la paghetta razionalizzata. Costringere a utilizzare tutto il proprio guadagno solo nelle spese domestiche o a versarlo in un conto controllato dal presunto autore del reato; essere tenuto all’oscuro dei bilanci familiari o delle spese effettuate; coinvolgere la partner in debiti propri”. Molte donne, spiega il procuratore, sono inconsapevoli di essere vittime di violenza economica ed è per questo che la Procura fornisce indicazioni dettagliatissime a Polizia e Carabinieri sulle domande da porre.
GLI STEREOTIPI CHE “NORMALIZZANO” LE CONDOTTE 
Inoltre, “i servizi sociali, se sono seguiti dalla Procura della Repubblica, comprendono che non devono operare la famosa vittimizzazione secondaria, che purtroppo registriamo molto spesso”, ammonisce Menditto. “Occorre verificare innanzitutto se la vittima abbia dipendenza economica dalla persona denunciata, se sì vanno raccolti elementi sullo stipendio del denunciato, su disponibilità economiche, su possesso di automobili e immobili. Verifiche analoghe anche sulla denunciante. Chiediamo poi se sia pendente un processo di separazione, anche di fatto, o divorzio: l’inizio della separazione- spiega Menditto- è quello di massima vulnerabilità. La donna forse non è in grado di riconoscere la violenza economica e forse neanche noi, perché abituati a stereotipi e pregiudizi che ci fanno ritenere normali alcune condotte”.  “Nella mia Procura- racconta Menditto, audito dalla Commissione femminicidio- ho visto molti casi di donne non che hanno rinunciato al lavoro, ma che hanno deciso di trasferirsi o di rifiutare incarichi più complessi perché ‘dovevano seguire l’uomo’, anche se lui aveva un ruolo professionale inferiore, meno importante. Hanno perso delle occasioni, quelle donne, e noi abbiamo perso un valore aggiunto. È la famosa discriminazione ai danni delle donne. Noi- prosegue il Procuratore- seguiamo 1300 casi all’anno di violenza, in molti casi vediamo proprio il controllo degli scontrini: l’uomo se li fa consegnare per controllare le spese e accertarsi che la donna non metta da parte nulla, magari per poter chiedere la separazione. Chiediamo, alle donne che denunciano, se hanno un conto cointestato o proprio o se sono intestatarie di quote societarie: abbiamo tantissimi casi di donne che scoprono di essere titolari di alcune società quando vanno in bancarotta, quando falliscono. Sono andate davanti al notaio e hanno firmato, ma non è stato loro spiegato cosa”.
DIFESA GRATUITA PER LE DONNE 
“Noi riusciamo a ottenere anche misure cautelari per violenza economica collegata ad altri tripi di violenza- prosegue Menditto- Anche quando applichiamo le misure, però, è necessario che la donna sia seguita, sostenuta, dai centri anti violenza e da un avvocato. Il 95 per cento delle donne non sono difese: la difesa è gratuita, le donne non lo sanno. Senza sostegno le donne si troveranno sole a casa con i figli e torneranno ad avere bisogno del marito, per esempio per accompagnare i figli a scuola”, specifica Menditto, basandosi sull’esperienza della sua Procura. “Le donne chiedono protezione, protezione continua, e una sentenza che dia loro ragione, non condanne esemplari. Più sono rapide le sentenze, più aumentano le condanne. La lunghezza del processo lavora a favore dell’imputato. Abbiamo i dati”, conclude il Procuratore.Le notizie del sito Dire sono utilizzabili e riproducibili, a condizione di citare espressamente la fonte Agenzia DIRE e l’indirizzo https://www.dire.it

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