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La mostra come organismo vivente: a Basilea tra nebbia e futuri

AttualitàLa mostra come organismo vivente: a Basilea tra nebbia e futuri

Una mostra poderosa e inevitabile alla Fondation Beyeler

Basilea, 18 mag. (askanews) – Una mostra in perenne e letterale cambiamento, che ospita artisti, ma anche architetti e filosofi, che utilizza il pensiero della danza applicato a quadri e sculture e restituisce una sensazione di stringente consapevolezza delle istanze più contemporanee. È la nuova esposizione estiva della Fondation Beyeler di Basilea, che ospita, in maniera mai così diffusa, opere inedite in dialogo con quelle della collezione.

L’idea nasce, e non poteva essere altrimenti, da un collettivo, composto da Mouna Mekouar, Isabela Mora, Hans Ulrich Obrist, Precious Okoyomon, Philippe Parreno, Tino Sehgal e da Sam Keller, che abbiamo incontrato. “Prima di tutto – ci ha detto – volevamo fare un esperimento, volevamo dare agli artisti più libertà e più possibilità di creare nuove opere, di mostrarle in modi diversi da quelli che si possono di solito trovare nei musei, non solo negli spazi delle gallerie, ma anche nel giardino e ovunque nel museo di Renzo Piano”.

La mostra si stende su tutta l’area museale con apparente incuranza, ma in realtà modifica in modo radicale la percezione dello spazio: si trovano opere nel guardaroba, altre che cambiamo di continuo posizione, con gli operai al lavoro negli orari di visita del pubblico, sotto la regia di Tino Sehgal. Ci sono suoni, presenze e assenze. E l’aggettivo “radicale” è forse quello più efficace per raccontarla, insieme a qualcosa che ha a che fare con la dimensione biologica ricorrente. “Questa mostra – ha aggiunto Keller – è come un organismo vivente, che continua a evolversi e a cambiare. In orari diversi, in giorni diversi, si trova una mostra diversa”.

Negli spazi della Fondation Beyeler si trova una incredibile densità di capolavori, dalle ninfee di Monet alle nuvole di Gerhard Richter, dalle figure di Marlene Dumas ai giganti di Adriàn Villar Rojas, per arrivare a una sorta di grande schermo-monolito di Dominique Gonzalez-Foerster, che duplica il cielo di Basilea, aggiungendo delle presenze angeliche. Ma le opere che più impattano, forse, sono la leggendaria nebbia di Fujiko Nakaya, che arriva improvvisa e avvolge ogni cosa con un senso di urgente vertigine, e la grande torre di Philippe Parreno che domina il giardino, forte di una propria autodeterminazione che la libera dal controllo dell’artista.

“Questa torre – ha concluso Sam Keller – registra da oltre venti sensori molte informazioni invisibili. Impara a conoscere il suo ambiente, come un bambino o comunque come un essere umano. E sviluppa un linguaggio per comunicare con questo ambiente. Impara degli uccelli, dalle persone, dalle rane e crea un suo linguaggio, Quindi i suoni non sono mai gli stessi”.

Proprio l’impossibilità di circoscrivere la portata di questa arte sembra essere una delle più importanti caratteristiche del dispositivo creato a Basilea, una fenomenologia del contemporaneo che va oltre noi stessi e apre molte possibili strade al dibattito su che cosa significa oggi stare davanti a un’opera d’arte, ma anche cosa significa crearla. Qui, signori, la partita la giochiamo tutti; ed è una partita inevitabile. (Leonardo Merlini)

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