ROMA – In carica da domenica prossima, primo dicembre, e subito al lavoro.
Ma la nuova Commissione europea guidata da Ursula von der Leyen, la popolare tedesca confermata presidente, potrebbe essere più debole di quella uscente. Lo indicano i numeri della fiducia ottenuta dall’Europarlamento ieri.
E lo confermano equilibri politici in mutamento, che potrebbero riservare sorprese. In teoria, e forse in pratica.
I NUMERI
Cominciamo dai numeri. Ieri la Von der Leyen bis ha ricevuto appena 370 “sì” su 688: metà superata per appena 26 consensi.
All’appello, rispetto al via libera ottenuto personalmente dalla presidente nel luglio scorso, mancano 31 voti a favore. E pesano anche i contrari e gli astenuti: rispettivamente 382 e 36. Per capire bisogna fare un confronto con le precedenti Commissioni.
IL MINIMO STORICO
Ieri la fiducia è arrivata con un minimo storico. La prima Commissione Von der Leyen aveva raccolto 461 voti. Jean-Claude Juncker ne aveva ottenuti 423, José Manuel Barroso 478 e 488 e Romano Prodi addirittura 510, quando i deputati erano soltanto 626. Altre cifre, altri tempi.
LE INCOGNITE POLITICHE
Poi ci sono le incognite politiche.
Nel corso di pochi mesi Von der Leyen ha perso i consensi della metà dei Verdi (Green), di diverse delegazioni nazionali dei Socialisti e democratici (S&d) e di una parte dei suoi stessi Popolari (Ppe).
In compenso ha guadagnato quelli di Fratelli d’Italia (Fdi) e di una parte del suo gruppo dei Conservatori e riformisti europei (Ecr).
LA REGIA DI WEBER?
Secondo alcuni analisti, questa traiettoria è frutto di una strategia. Il suo architetto sarebbe un altro tedesco, Manfred Weber, presidente del Partito popolare europeo. Ieri per lui è stato giorno di congratulazioni.
“Abbiamo messo insieme una Commissione davvero bilanciata”, ha scritto sui social complimentandosi con Von der Leyen: “Da un punto di vista geografico e politico e, poi, focalizzata sulle priorità”.
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