ROMA – “Abbiamo il dovere di non arrenderci alla fatica di spiegare quali sono i termini della questione dei trattenimenti dei richiedenti asilo, anche quando i nostri interlocutori del momento sviliscono con ostentato fastidio le ragioni del diritto a pretesti da azzeccagarbugli, mostrando di non voler ascoltare, arroccati sulla formula propagandistica della magistratura politicizzata. Abbiamo il dovere di ribadire che la magistratura italiana non è in nessuna sua parte attraversata da faziosità politica e non avversa i programmi di chi oggi è maggioranza politica di governo”. Lo ha detto il presidente dell’Associazione nazionale magistrati, Giuseppe Santalucia, nella sua relazione nel Comitato direttivo centrale dell’Anm.
“Abbiamo il dovere – aggiunge – di ricordare, sulla scia del bel documento sottoscritto da oltre 250 magistrati in pensione (e che ci è stato trasmesso qualche giorno fa), quale sia la missione di una magistratura autonoma ed indipendente in una democrazia liberale la cui Carta fondamentale pone al centro la persona e i suoi diritti fondamentali, che si sottraggono, e se del caso si oppongono, alle volontà dispositive delle maggioranze, pur quando estese e pur se democraticamente elette”.
“Abbiamo il dovere di non cedere alla stanchezza e allo sconforto, trovando la forza di contrastare, con la ragione e il diritto, la coltre di maliziose accuse che ci piovono addosso, che confondono, sconcertano, disorientano, sporcano l’immagine di una fondamentale Istituzione, presidio di libertà e di uguaglianza, quale è, è stata nella storia di questo Paese e, per mezzo di noi tutti e di quanti verranno, sarà ancora la magistratura italiana”.
“Abbiamo il dovere di riaffermare che la soggezione è alla legge e non al legislatore del momento, che la legge vive all’interno di un reticolo sistematico che vede un concorso di fonti al cui interno la relazione gerarchica non è la sola direttrice ordinante e che, in ogni caso, in quella relazione il vertice è assegnato alla Costituzione e, in alcune materie, alla normativa eurounitaria. Lungo questo tracciato, che non ha alternative, che si impone a noi con forza pari soltanto alla sensibilità costituzionale che ci anima”.
“Abbiamo il dovere di evitare che la paura, il timore di essere osservati, in qualche modo sorvegliati, si insinuino e si conquistino uno spazio tra noi, quando assistiamo a fatti inquietanti, al venir fuori, dopo esser stato evidentemente conservato per anni alla bisogna, lo screenshot di qualche nostro stato whatsapp, reso noto al tempo soltanto ai nostri pochi contatti telefonici (mi riferisco ai recenti articoli di stampa che hanno riguardato la collega Antonella Marrone)”.
“Un giudizio critico su un messaggio social di un personaggio pubblico che al tempo non era al Governo serve oggi, trascorsi due anni e più, per definire l’immagine di un magistrato politicamente antagonista, schierato, pregiudizialmente ostile, ora che quel personaggio pubblico è al Governo del Paese e soprattutto ora che il magistrato autore di quello stato whatsapp ha preso un provvedimento sgradito al Potere, peraltro occupando un posto ed esercitando una funzione tutt’affatto diversi da quelli del tempo. Abbiamo il dovere di conservare integra la serenità nello svolgimento dei nostri compiti, pur se recandoci in ufficio, accomodandoci alla scrivania, sapremo che il provvedimento che ci toccherà assumere, secondo linee consolidate della giurisprudenza e orientamenti interpretativi della nostra sezione formati nelle apposite riunioni indette per assicurare uniformità di indirizzo, ci consegnerà sia al pericolo di essere additati come magistrati comunisti (termine che si carica di significato spregiativo ben oltre i confini della sua naturale semantica) e nemici del popolo; sia al pericolo di veder violata la nostra sfera di riservatezza con la pubblicazione di fotografie attinenti a momenti di vita privata e con notizie sulle nostre relazioni affettive”.
“Abbiamo il dovere – si sottolinea – di non cadere nel tranello di individuare la causa del vortice di polemiche, in cui il nostro ufficio viene risucchiato, nel collega, vicino di stanza, per aver questi preso parte giorni prima, settimane prima, mesi prima, anni prima, ad un convegno su temi giuridici divenuti politicamente scottanti, per aver questi espresso opinioni nell’esercizio del diritto, fino a qualche tempo fa incontestato, di esser presente nel dibattito interno alla comunità dei giuristi su aspetti dell’ordinamento che ora ci proiettano prepotentemente e nostro malgrado sulla scena pubblica. Abbiamo il dovere di non attardarci nella domanda se sia ancora il caso, visti gli attacchi ripetuti nei confronti di sempre più colleghi, di prender parola ad un convegno, ad una pubblica riunione, in cui, con lo strumento dell’argomentazione composta e rispettosa delle Istituzioni tutte, potremmo assentire o dissentire su una qualche interpretazione o su qualche disegno di legge, pur di iniziativa governativa, o potremmo svolgere addirittura critiche, che so, sulle linee della politica penale della maggioranza di Governo, per il timore che l’indomani quelle nostre opinioni potranno formare il banco di accusa della nostra faziosità e il banco di prova della nostra parzialità”.
Le notizie del sito Dire sono utilizzabili e riproducibili, a condizione di citare espressamente la fonte Agenzia DIRE e l’indirizzo https://www.dire.it