Lo ha scritto Carlo Macchi per Nuova editoriale Florence press
Milano, 2 mar. (askanews) – “Giulio Gambelli – L’ultima farfalla del Sangiovese” è il titolo di un libro scritto dal direttore di winesurf.it, Carlo Macchi, e dedicato all’uomo che dal Dopoguerra agli anni Duemila ha cambiato il volto del vino toscano. Non era enologo ma aveva un palato e un naso che gli permettevano di “conoscere, riconoscere e analizzare i vini meglio di un laboratorio”. È stato il “Maestro del Sangiovese toscano” e ha lavorato in tantissime aziende, più o meno famose. Il volume, di 144 pagine con la prefazione di Burton Anderson, racconta la sua storia, anche attraverso contributi di personaggi importanti del vino toscano e “spiega i perché della sua importanza nel passato, nel presente e nel futuro del vino, non solo toscano”.
Il libro, appena uscito per Nuova editoriale Florence press, racconta la vita di Gambelli dalla nascita nel 1925 alla sua scomparsa nel 2012, inquadrando i vari periodi storici in cui è vissuto e ha lavorato nel mondo del vino, dove entrò appena quattordicenne assunto all’Enopolio di Poggibonsi (Siena), sua città natale, come “ragazzo di bottega”. Insieme con il profilo di Gambelli, Macchi ricostruisce anche i cambiamenti del mondo del vino toscano negli ultimi 70 anni, in particolare quello che è avvenuto nelle principali Denominazioni come Chianti Classico e Brunello di Montalcino. Nel libro si delineano anche i suoi insegnamenti e si valuta “l’enorme modernità del suo modo di fare vino” che, non per niente, dopo la sua morte ha portato alla creazione di un premio per i giovani enologi che è diventato uno dei più importanti a livello nazionale.
“Conoscevo Giulio sin da piccolo perché era amico di mio padre e di tantissimi altri poggibonsesi ma solo quando sono entrato nel mondo del vino ho capito la sua grandezza, inarrivabile” racconta il giornalista toscano, aggiungendo che “mi voleva bene e sopportava la mia inadeguatezza ai suoi standard degustativi. Abbiamo girato parecchio con le sue Renault 4 che puzzavano di cane e poi con la R5, quando non aveva più l’età per la caccia. Negli ultimi anni – continua – quando girava molto meno, andavo a trovarlo spessissimo e il nostro saluto era sempre il solito: ‘Ciao giovane’ dicevo io e lui rispondeva ‘Ciao vecchio’, perché quello giovane dentro era lui, come del resto erano e sono ancora giovani i grandi vini che ha fatto”.
“Il fatto che avesse un naso e un palato più fine dei macchinari di laboratorio lo ha dimostrato decine e decine di volte e tutte le persone che lo frequentavano lo sapevano” prosegue Macchi, ricordando che “una volta eravamo nel laboratorio di analisi dove aveva la sua stanzetta di degustazione, una ragazza gli porta un vino e gli chiede ‘Giulio che acidità ha?’ Lui assaggia e dice ‘5.2’: la ragazza guarda il foglio che aveva in mano e borbotta ‘allora ho sbagliato a misurarla” e torna a rifare l’analisi’”.