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Vino, presentato l’11esimo Appius, il gioiello di San Michele Appiano

AttualitàVino, presentato l'11esimo Appius, il gioiello di San Michele Appiano

Intervista a Terzer: in futuro potrà cambiare ma senza snaturarsi

Milano, 8 nov. (askanews) – Arriva al suo undicesimo capitolo “Appius”, il progetto più ambizioso e il vino più prezioso della Cantina di San Michele Appiano (Bolzano). Per l’annata 2020, prodotta in ottomila bottiglie, cresce la percentuale di Chardonnay che arriva al 60%, seguita da un 20% di Pinot Grigio e da un altro 20% diviso equamente tra Sauvignon Blanc e Pinot Bianco. Presentato ufficialmente ieri sera nel nuovo raffinatissimo spazio a lui dedicato, concepito dall’architetto Walter Angonese all’interno di quella che è la più nota tra le cooperative dell’Alto Adige, di questo vino nato nel 2010 con “il meglio delle nostre uve, delle nostre viti e dei nostri terroir”, parla ad askanews il suo creatore, il celebre enologo Hans Terzer.

“Questo Appius è frutto di una raccolta non facile: l’annata 2020 era partita con la pioggia, seguita poi dal caldo di un bellissimo agosto e infine ancora dalla pioggia tra la metà e la fine di settembre, tanto che abbiamo dovuto aspettare qualche giorno per poter raccogliere le uve. Però i nostri bravissimi viticoltori sono stati in grado di fare una super selezione anche in vigna, cosa che ci ha garantito una materia prima eccellente che però rispecchia naturalmente l’annata, che poi è lo scopo di questo vino che abbiamo sempre prodotto, sia nelle annate eccellenti che in quelle difficili” racconta, ricordando che “Appius non nasce da un’unica partita di Chardonnay o di Sauvignon ma viene prodotto con diversi, piccoli, lotti di al massimo 10 quintali che vengono in gran parte vendemmiati separatamente e dopo 11-12 mesi facciamo l’assemblaggio”.

“E’ come realizzare un mosaico: scegliamo i lotti che ci convincono di più e che si lasciano mettere insieme, perché io posso anche avere un vino eccellente ma se non riesce ad assemblarsi con gli altri lo mettiamo da parte e lo usiamo per la linea ‘Sanct Valentin’. Dopo di che il vino rimane per circa tre anni in botte, sempre sui lieviti, ad una temperatura attorno ai dodici gradi: ogni tanto si fa il ‘batonnage’, si assaggia e alla fine viene filtrato leggermente e va a finire in bottiglia. Questo 2020 ci è finito un po’ più tardi del solito, un mese fa, perché abbiamo avuto qualche problema con la fornitura delle bottiglie di grandi formati” continua l’enologo, spiegando che “Appius è sostanzialmente rimasto fedele a se stesso, abbiamo sempre questi quattro vitigni (solo nel 2011 ce ne erano tre perché la grandine aveva distrutto il Pinot Bianco) ma naturalmente le piante diventano sempre più vecchie: quindi sono le uve delle stesse vigne che però oggi hanno undici anni in più. Certo, rispetto al passato sfogliamo di meno per proteggere l’uva e facciamo anche altri piccoli interventi in vigna ma non un granché di diverso, così come in cantina dove adesso abbiamo la cella frigo per raffreddare le uve ma non sono state tecniche che hanno fatto di Appius un altro vino”.

Radice romana del nome Appiano, Appius vanta un design e un’etichetta che vengono reinterpretati ogni anno in modo da costruire una vera e propria collezione. In questa edizione 2020 appare con un corpo e dei sentori più eleganti, bilanciati e freschi che spingono la sua beva, anche se per godere del suo splendore bisogna attendere, secondo il suo papà, 3-4 anni. Merito forse anche del fatto che “quest’anno – dice Terzer – non abbiamo fatto la malolattica ad una piccola parte di Chardonnay per aggiungere un po’ di più di acidità e un po’ di più di mineralità, come facciamo da tempo per una percentuale di Sauvignon che, a seconda dell’annata varia tra l’8 e il 15%”. Negli ultimi anni – precisa – siamo passati da un’acidità attorno 5,5 a circa 6 grammi, per cui abbiamo circa un 0,2-0,3 di acido malico”.

La prima Cantina altoatesina a produrre un “fine wine” di fascia premium o super premium è stata quella di Terlano, con il “Primo” 2011. “Come data di uscita i primi sono stati loro – afferma Terzer – ma il nostro primo Appius è stato il 2010, quindi si può discutere quale sia stato veramente il primo”. Al di là di chi sia stato, di certo ha fatto scuola perché oggi quasi tutte le grandi realtà della provincia di Bolzano hanno un proprio vino di rappresentanza. “Tutti guardano a chi lavora bene, a chi ha successo e ci sono due o tre aziende che forse hanno più successo delle altre e vengono un po’ copiate: c’è chi lo fa molto bene e chi in un modo che non funziona” evidenzia l’enologo, sottolineando che “ci sono pochi ‘supersudtirol’ che funzionano molto bene e Appius è sicuramente uno di questi”.

Dopo 47 anni passati alla Cantina di San Michele Appiano preceduti da quattro in altre due aziende vinicole locali, il 68enne Hans Terzer è due mesi ufficialmente in pensione. “Mi sento abbastanza libero, collaboro ancora con la Cantina di San Michele Appiano ma il mio impegno è un 20% di quello che facevo prima” racconta ad askanews, sottolineando che “finalmente ho il tempo di andare a farmi un giro in bicicletta senza guardare l’orologio, posso andare in montagna con qualche amico e ho più tempo per la mia famiglia, a cui ne ho dedicato purtroppo troppo poco per diversi anni. Quindi direi che al momento sto molto bene”. Con cinquanta vendemmie sulle spalle, Terzer ha vissuto l’evoluzione enologica di questa regione. “E’ cambiato tutto, cinque decenni fa, quando l’Alto Adige era rosso o rosato con troppa Schiava anche in zone assolutamente non vocate, c’erano grandissimi problemi. Mano a mano, siamo riusciti a convincere i nostri viticoltori a cambiare, soprattutto nelle Cantine cooperative e i primi tempi non è stato per nulla facile, mi ricordo i discorsi… Poi con gli anni hanno capito – continua – hanno collaborato e oggi credo che quello del viticoltore sia un lavoro riconosciuto, apprezzato e con il quale si guadagna abbastanza bene, lo conferma il fatto che negli ultimi quindici anni siamo passati da quattromila e rotti a oltre cinquemila ettari: i meleti che negli anni Settanta venivano impiantati nelle vigne oggi sono di nuovo sono spariti o stanno sparendo”.

E in futuro Appius cambierà? “Non credo, o meglio, leggermente sì: il mio successore gli darà forse un’altra direzione ma credo che non cambierà troppo”. Il “prescelto” alla regia di Appius è l’attuale “kellermeister” della Cantina San Michele Appiano, il preparatissimo Jakob Gasser, 30 anni e già sette passati al fianco di Terzer. “E’ bravo – dice il “maestro” – me lo sono scelto io per cui sono convinto di aver trovato la persona giusta: toccherà a lui fare Appius dalla difficile annata 2024, che è simile alla 2014 e alla 2017. Spero che fino ad allora sia un buon custode”. In sella dall’anno scorso, Gasser non rappresenta solo il futuro ma già un ottimo presente.

Difficile trovare in Italia, una terra che abbia saputo fare squadra, crescere e raggiungere una qualità media così alta come l’Alto Adige. “Abbiamo un grandissimo territorio e dalla gente che lo rispetta ed è consapevole che va mantenuto e protetto, perché abbiamo poca terra e quella va salvaguardata e lavorata in un determinato modo” spiega Terzer, che non appare più di tanto preoccupato per il cambiamento climatico: “Darà dei problemi certo ma non credo qui: abbiamo un territorio straordinario, abbiamo acqua e gente preparata che sa cambiare e adattarsi al nuovo clima anche salendo un po’ in altitudine, anche se non si può salire fino a chissà quanti metri”. “Mi preoccupano più le mode, come quella del vino naturale – prosegue – perché a me va bene che uno faccia il vino senza interventi, con la fermentazione spontanea, con pochi o senza trattamenti, però deve essere bevile, non mi piace che possa diventare una scusa per fare un vino con dei difetti”.(Alessandro Pestalozza)

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